Vi siete mai chiesti perché si mangia l’agnello a Pasqua?

Chiariamo subito un concetto importante: l’agnello non si mangia solo per Pasqua, ma tutto l’anno. Per ragioni tradizionali / religiose, d’altro canto, in questo momento dell’anno si ha un maggiore consumo del prodotto in questione – riempiendo i social di post di sensibilizzazione contro l’abbattimento delle creature, quasi come se il problema fosse legato al periodo più che all’atto in sé.

Non è assolutamente mia intenzione entrare nel merito; ognuno di noi ha una propria sensibilità ed un pensiero incontestabile.

Colgo tuttavia l’occasione per mettere in luce una questione sconosciuta ai più: il consumo umano di agnelli si rivela utile alla salvaguardia della specie stessa. Questo per diversi motivi.

Ad oggi, la gestione delle risorse naturali è ancora antropocentrica; ciò significa che molti animali, come appunto le pecore, avrebbero scarse possibilità di sopravvivere. Mancherebbe soprattutto il foraggio, poiché la maggior parte degli appezzamenti è riservata all’agricoltura.

Purtroppo, non è possibile lasciar pascolare degli erbivori all’interno dei campi coltivati ad erbacee (cereali, legumi, ortaggi ecc.). Fermo restando che gli animali devono essere gestiti per ragioni prevalentemente urbanistiche e veterinarie, potrebbe invece essere “compatibile” ed utile, perché altamente sostenibile, convogliarli nelle macchie boschive, ad esempio nei noccioleti. Ma questa è un’altra storia…

Inoltre, all’interno di un gregge ben strutturato, il rapporto tra maschi e femmine deve essere circa 1 a 30; questo significa che troppi agnelli maschi – che, ricordiamo, diventeranno arieti – si rivela controproducente per l’intero gregge.

La natura provvederebbe autonomamente alla selezione, perché gli arieti sono piuttosto aggressivi e competitivi. Negli scontri, i maschi sconfitti riportano spesso danni gravi o spinti all’emarginazione. L’uomo, con una selezione pilotata, mantiene alta la riproduttività ed ottiene, a conti fatti, lo stesso risultato sulla demografia del capo.

Non di meno – e in pochi lo sanno – la pecora domestica non è “la stessa” di migliaia di anni fa – quando la pecora non era realmente “domestica”. L’intervento di rincrocio ha consolidato varietà ben precise, pure, con pregi, attitudini ma anche difetti. La pecora contemporanea, in genere, richiede una tosatura periodica e attenzioni veterinarie. Allo stato brado non è detto che sopravviva.

Piaccia o no, il legame tra pecora e uomo è ormai quasi indissolubile – senza contare che tiene in piedi l’attività della pastorizia – non solo carne, ma anche latte, formaggi, lana e sostegno per tante famiglie.

Mangiare meno, meglio e valorizzare l’intero animale

Ecco cosa dovrebbe fare il consumatore per il rispetto del proprio benessere psicofisico e degli animali.

Partiamo da un presupposto: è il consumo massivo che da vita alla produzione intensiva, è il consumatore dunque che ha il potere “di scegliere” e “di cambiare”.

Mangiare meglio vuol dire anche dare il “giusto onore” all’animale, senza per forza prediligere solo i “tagli di prima scelta”; conoscere e saper utilizzare tutti i tagli porterà grossi benefici sia alla specie che a tutti i professionisti ci lavorano dietro.

La soluzione, quindi, non è necessariamente di rinunciare a mangiare gli agnelli; piuttosto, ogni volta che si consuma questa pregiatissima carne, è necessario capire da dove arriva e quanto lavoro c’è dietro. Ci auguriamo quindi che il nostro lavoro venga apprezzato e non sminuito (o peggio, disprezzato) senza capire come stanno realmente le cose.

Agnello al BBQ

Ebbene sì, ora che siamo più consapevoli sull’argomento, perché non lanciarsi in una ricettina “top” per gustare e valorizzare al massimo queste carni?

Io sono un grande amante dell’agnello al forno. Quest’anno tuttavia ho voluto cambiare, provando una nuova e personale ricetta; il risultato è stato sorprendente.

Kebab d’agnello “a modo mio”

Quest’anno avevo voglia di cambiare un po’, volevo mangiare si agnello, ma non costolette, no coscia e spalla al forno; mi si è quindi accesa una “lampadina”, e mi son chiesto: “…se facessi un kebab nel mio Kamado?

Ad essere onesto non è stato difficile, con l’eccezion del singolo dubbio iniziale: “come faccio a cuocerlo senza girarrosto verticale?” E “come impilarlo in stile kebab senza perdere i succhi di cottura?

Con pochi euro ho risolto il problema, comprando una tortiera tonda da 25 cm, una barra filettata in acciaio inox e due dadi con relative rondelle. A questo punto è stato un gioco da ragazzi: ho forato il piatto in centro ho inserito la barra filettata (precedentemente tagliata a misura 25 cm circa), bloccandola con dadi e rondelle.

Ricetta per 4 persone

  • 1 cosciotto d’agnello da circa 1.2kg
  • 1 peperone
  • ½ cipolla
  • 1 patata
  • 1 zucchina
  • 10 fette di pecorino sottili
  • Sale, pepe, rosmarino, aglio, alloro, curry
  • Olio evo QB
  • ½ bicchiere di vino bianco.

Procedimento e cottura

  1. Disossate la coscia e tagliatela a fette il più possibile larghe
  2. Condite le fette d’agnello con gli aromi e le spezie a piacere vostro
  3. Preparate le verdure ricavando pezzi larghi e piuttosto lunghi
  4. Infilzate sull’apposito spiedo, carne verdure e formaggio, alternandoli tra loro dal basso verso l’alto tenendo in considerazione i pezzi più grandi vanno in basso
  5. Fate a pezzettini grossolani le verdure rimaste e appoggiatele sulla base del vostro kebab; irrorate poi con ½ bicchiere di vino bianco.

Cottura

Vi dico la mia, ma potete personalizzarla.

Ho acceso un cestello di quebraco blanco e l’ho messo nel kamado in settaggio di cottura diretta; poi ho appoggiato sopra due refrattarie circolari e, a circa 2 cm dalle pietre, ho messo la griglia per poi appoggiarci sopra il kebab.

L’ho cotto circa 1 ora a 150°C, affumicando; ho quindi aperto, spennellato con i succhi di cottura, applicato un foil di alluminio e richiuso il kamado tappando sia aspirazione che scarico. Ho lasciato tutto dentro altre 2 ore.

Considerate che, chiudendo le bocchette dell’aria, il dispositivo tende a spegnersi; infatti, dopo due ore, il kamado era sceso a 60°C. Lo stesso non potrebbe essere fatto con un kettle, il quale necessita di un settaggio e un’alimentazione completamente diversa (o si rincarano le braci, oppure si applica uno snake iniziale di bricchette).

Come detto prima, potete personalizzare la cottura ma il mio consiglio è quello di non andare oltre ai 150°C in camera e non superare i 75°/85° al cuore; le verdure tra le fette di carne non raggiungeranno la cottura totale, ma saranno comunque gradevoli, perché apporteranno freschezza, acquosità e croccantezza – nel Mondo, siamo rimasti quasi solo noi italiani a stra-cuocere le verdure.

Una volta cotto, il kebab va tagliato con un coltello a lama liscia e ben affilato, dall’alto verso il basso, facendo scivolare i pezzi di carne e verdure sulla base dello spiedo. Potete impiattarlo o mangiarlo anche in un bel panino caldo; il mio, onestamente, accompagnato da un buon merlot e un paio di amici, non è nemmeno sceso dal BBQ; l’abbiamo fatto sparire nel giro di qualche minuto!